intervista all’organizzatore Giulio Montico
In questi ultimi venti anni, con la nascita e lo sviluppo di scuole in Francia, in Canada ed in Italia, oltre che nei Paesi in cui l’arte circense aveva trovato già da molto tempo un terreno fertile (ex Unione Sovietica e Cina), è maturata la naturale esigenza di trovare luoghi in cui nuove sperimentazioni potessero trovare la necessaria cassa di risonanza per diffondersi. La Francia per prima ha dato una risposta adeguata a queste richieste creando un Festival (Festival Mondial di Cirque de Demain) che con quello di Montecarlo nel Principato di Monaco sono divenuti due appuntamenti indispensabili per gli addetti ai lavori. Da queste esigenza nasce anche il Festival Internazionale del Circo – Città di Latina. E’ il terzo anno di questa manifestazione, l’unica di questo genere in Italia. Uno scambio culturale non indifferente, con giovani artisti under 21 selezionati da tutto il mondo ed una giuria composta da giudici internazionali.
Una volta il ricambio era automatico, si nasceva nel circo e si rimaneva nel circo. Ora invece, con le scuole e soprattutto all’estero, dove gli iscritti sono tanti, chi vuole andare avanti deve essere per forza il più bravo. I giovani oggi sono dove ci sono le grandi scuole, le tradizioni, dove le autorità credono nelle le arti circensi. Quando abbiamo telefonato all’ambasciata cinese a Roma per comunicargli che c’erano dei finalisti cinesi, dal Kasakistan è subito arrivato addirittura il primo ministro, perché era per loro un grande orgoglio.
All’estero la maggior parte degli artisti circensi esce dalle squadre di atletica, olimpioniche, di ginnastica artistica, il circo è uno spettacolo dal vivo ed un’arte difficile. Non è televisione, se il giocoliere sbaglia, l’attrezzo va per terra e non si può cancellare nulla. La gente deve capire che dietro uno spettacolo serio c’è tantissimo lavoro e deve anche capire che per vedere questo deve pagare. Il circo oggi in Italia è invece il fanalino di coda di tutti gli spettacoli, è lo spettacolo più abbandonato e nello stesso tempo meno aiutato. Io non voglio rimodernare, rifare niente, voglio solo fare vedere alla gente, al pubblico, agli addetti ai lavori che il vero circo è uno spettacolo di qualità.
Ai miei tempi non c’era la televisione in casa. Sì c’era il cinema, il teatro, però solo il circo riusciva a raggiungere anche i piccoli comuni. Ma anche se per la gente, che magari aveva lavorato anche 12/13 ore, andare al circo era un sacrificio, non solo economico, ma anche fisico, reale, c’era comunque più partecipazione. In questi anni ho convinto le autorità a collaborare, ma il pubblico ancora non risponde come dovrebbe. Il pubblico di oggi si è fatto un’idea sbagliata del circo; dal circo ci si aspetta soltanto il biglietto sconto, si entra senza pretese, per loro vedere fare tre clave o vederne fare 7/8 non fa differenza, non riescono a capire il salto di qualità, la bravura. L’anno scorso abbiamo indetto un concorso nelle scuole per il disegno più espressivo sul circo, fornendo decine di migliaia di cartoncini. In alcune scuole non sono neanche stati consegnati ai bambini, in altre non li hanno accettati; la sera della premiazione c’erano solo 150 persone, non c’è l’educazione, l’interesse al circo, manca la cultura ….
È anche colpa della gente che fa il circo, che accetta tutte le situazioni, che accetta l’umiliazione dei contributi. Il circo deve pretendere, si deve imporre, deve avere la possibilità di esibirsi con delle regolamentazioni. A Lucca in un anno non possono passare più di due circhi, il circo di prima categoria può stare 10 giorni, il circo di seconda 5 giorni, il circo di terza categoria può fare solo la periferia. Una regolamentazione del genere alza la qualità degli spettacoli e non lascia spazio alla concorrenza selvaggia che troviamo ora. Sì è vero che tutti bisogna vivere, ma non si può ingannare così la cultura del circo. Una volta c’era un’ambizione tra gli artisti del circo, si voleva competere con quelli dell’est, con i cinesi, si cercava di fare altre tanto bene, oggi tutto ciò manca. Oggi spesso, dal momento che il pubblico ha pagato, tutto finisce lì; questa è la colpa che do ai circensi.
LA GIOCOLERIA
Ai miei tempi la giocoleria non era un numero comune, perché era un numero di santa pazienza, se per un qualsiasi altro numero può bastare un’ora di allenamento, per la giocoleria, se vuoi diventare bravo, hai bisogno di tantissimo impegno. La molla che ci spingeva a lavorare duro era comunque lo spirito di emulazione; “lo fa lui lo faccio anch’io”. Magari qualcuno tornava dall’America e ci raccontava di qualcuno che era riuscito a fare 10 cerchi, e allora giù tutti ad allenarsi per fare i dieci cerchi. In Italia fu Piccinelli a riuscirci per primo, poi Nando Orfei, anche lui grande giocoliere. Imparavi per sentito dire, vedendo le foto e copiando le posizioni; anche l’allenamento te lo inventavi, ognuno aveva i suoi sistemi. Gli attrezzi a disposizione erano le clavette, ma anche i cerchi erano molto in uso, e una disciplina che era sparita, e che ora stanno rispolverando i cinesi, erano i cappelli. Uno dei più forti è stato Chiesa, e diciamo che furono gli italiani a riscoprire questa disciplina, anche se i cappelli sono inglesi. Anch’io ero abbastanza forte, perché era un attrezzo che mi attraeva, e perché erano in pochi a farli, e naturalmente si cercava sempre la novità. Negli anni 50/60 c’è stato il boom del calcio, poi è arrivato il monociclo, sempre negli anni 60. Non è che prima non ci fossero, ma pochi se lo potevano permettere. Gli attrezzi erano sempre personalizzati, ognuno aveva il suo, ed era costoso costruire un monociclo. Invece i cappelli si trovavano perché di uso comune, io andavo a comprarli a Porta Portese. Per le palle invece abbiamo cominciato con i palloni di calcio, ma non potevi allenarti per molto con i palloni di cuoio perché erano pesanti e facevano male. Siamo passati così a quelli di gomma, tra l’altro più economici. Ma ora con le scuole di calcio anche un ragazzino ti fa 50 palleggi, e nessuno si meraviglia più di tanto di fronte a quei numeri. I cerchi erano di compensato, le pallette si facevano di legno leggero, mentre per le clave, che all’inizio erano di sughero tornito con l’anima in legno, si è passati poi alle bottiglie di plastica che costavano meno. Certo si trovavano anche le clave vere, in Francia, ma costavano un sacco di soldi.
Associazione Culturale “Giulio Montico”
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