Giullari against the War

 

 

Intervista a Stefano (Giullari del Diavolo) e Antonio (Il Trio Maria)

 

GENESI

Stefano

Ho iniziato a viaggiare con Clown senza Frontiere nel 96 facendo spettacoli in posti speciali che non dimenticherò mai come nelle comunità indigene del Chapas in Messico o nel Mozambico. Nel 2001 io e Rose abbiamo formato con Anna e Beppe dei Giocolieti il Gruppo Opposti e siamo partiti per una serie di spettacoli e stage in Chile, Paraguay e Brasile, in favelas, scuole e orfanotrofi. Tre mesi bellissimi di unione e coinvolgimento. L’anno successivo siamo stati di nuovo in Brasile insieme a Karly (Star Light) e a Tosta Mista il Malabarista, questa volta nel nord est proponendo stage e spettacoli in un carcere minorile e nelle piazze per i meninos de rua, oltre ad uno spettacolo bellissimo insieme a una famiglia di circo tradizionale. Dopo tutte queste esperienze volevo fare di più. Ma con Clown senza Frontiere il viaggio non dura più di un mese, hai un responsabile che decide quando e dove fare spettacolo, e ogni gruppo fa il suo spettacolo senza interagire con gli altri. Volevo sperimentare qualcosa di diverso, un gruppo che viaggiando insieme potesse amalgamarsi in un unico spettacolo, scambiarsi con entusiasmo le proprie esperienze e creare un’onda magica che lasciasse un segno dovunque passasse Abbiamo così pensato ad un gruppo indipendente ed autofinanziato, proponendo questo viaggio ad artisti/amici “illuminati” con buona onda e che non avessero problemi a star fuori per tre mesi. Ognuno di noi doveva pagarsi il biglietto e doveva garantire almeno 3 mesi di permanenza. Tutte le altre spese sarebbero state pagate da una cassa comune con soldi del “cappello” e proventi da Festival di artisti da noi organizzati. In India eravamo già in contatto con delle organizzazioni che ci avrebbero aiutato, una vicino Kalcutta, una a Bombay, a Trivandrum e Pondicherry.

Il 9 gennaio siamo partiti in 12: I giullari del Diavolo (Stefano, Rose, Enrico e Cristina), Rodrigo, il Conte Schippa, Claudio Cremonesi, Ruffino, Luca e Giusy, io e in seguito ci hanno raggiunto Mariapaola e Luigi, suo figlio di tre anni. Rodrigo, con un’esperienza da Clown senza Frontiere e Clown in Corsia era il nostro poliglotta, mentre ai costumi aveva pensato Enrico.

 

IL VIAGGIO

Antonio

La prima tappa è stata il Sadu Mela, il festival dei Sadu, asceti indiani, ospitato ogni anno dai Milon Mela, praticanti di Kata Kali e Kalaripaiatu, una danza sacra e un’arte marziale. I Sadu, che rinunciano ai beni terreni, sono divisi in cantastorie di vicende ultraterrene da loro illustrate, e famiglie di musicisti girovaghi. Nei quattro giorni del festival ne arrivano centinaia in questo ashram. I loro spettacoli sono lunghi ed ipnotici e noi eravamo gli unici ospiti esterni. Dal West Bengali, una zona al di fuori del mondo, ci siamo spostati a Benares, poi a Puska e nel Rajestan. Tre mesi senza mai fermarci, a parte una piccola sosta al mare di 3/4 giorni. Gli spostamenti erano lunghissimi, anche due giorni di treno da un posto all’altro. Ma negli scompartimenti potevi stare addirittura sdraiato per tutto il viaggio e c’era un andirivieni di persone che vendevano di tutto, compreso cibo e bevande. Così i viaggi in treno diventavano anche un momento di relax prima della tappa successiva. Più in là abbiamo noleggiato un autobus e un autista, una vera figata! Avremmo fatto almeno una trentina di spettacoli, tanti se consideri che molti giorni li abbiamo impiegati per gli spostamenti.

I nostri cerchi contavano anche 500 persone e i cappelli che raccoglievamo ci avrebbero tranquillamente permesso di vivere in India. In genere, appena ci fermavamo un po’ di più in un posto, veniva subito la stampa ad intervistarci. Devo dire anche che avevamo scelto un certo tipo di viaggio e che i posti turistici, magari con possibilità di lavori anche ben pagati, non ci interessavano. Siamo stati a fare spettacoli anche in posti dove non è mai andato nessuno, e lì sicuramente non si dimenticheranno di noi!

 

GLI INDIANI

Antonio

In India ci sono sempre feste in paese, di giorno vedi migliaia di persone che mangiano e ascoltano musica insieme. Lì abbiamo conosciuto incantatori di serpenti, contorsionisti, musici e fachiri e lì gli artisti di strada sono proprio una casta, di famiglia, dove le arti vengono tramandate dai genitori ai figli. Alcuni sono bravissimi nell’uso del bastone infuocato e ho visto spesso bambine di 5/6 anni che facevano bellissimi numeri con la corda. Lavorano a cappello, cosa tollerata in India, come tutto d’altronde, tranne andare in giro nudi e baciarsi in strada!

Il pubblico indiano è molto particolare ed ha uno spiccato senso della comicità, anche se uomini e donne sono divisi in due settori diversi. Gli indiani osservano tutto lo spettacolo con molta attenzione, ma non applaudono mai, il che ci ha un po’ preoccupato all’inizio, pensavamo che non gli piacessimo o che lo spettacolo non funzionasse. La cosa bella era vedere con quanto poco si divertissero alle nostre esibizioni. Hanno inoltre una memoria incredibile, sono più calmi e si concentrano meglio, così sono capaci di ripetere all’istante una cosa appena vista. Giocoleria, acrobatica, ai tanti stage che abbiamo tenuto in giro apprendevano tutto subito. Chiaramente in molti ci identificavano come turisti e chiaramente cercavano di venderci qualsiasi cosa.

In ogni regione incontravamo cultura, abiti e lingua diversa, e diverse reazioni allo spettacolo. Così di volta in volta trovavamo un modo nuovo di interagire col pubblico, soprattutto con i loro abiti.

 

LO SPETTACOLO

Stefano

Non avevamo mai lavorato tutti insieme, e lo spettacolo è stato completato in progress durante il viaggio, ma già dopo un mese ne avevamo uno spettacolo che funzionava e che coinvolgeva tutti noi. Aprivamo con una parata, vestiti tutti uguali con i nostri costumi a tutina a strisce bianche e nere, come i carcerati, creando un grosso impatto, perché in India vestono tutti con colori sgargianti e sparati. Avevamo tutti delle valigie di latta con delle lettere che componevano la scritta Giullari Against the Wars. In quei mesi soffiavano venti di guerra e questo voleva essere il nostro contributo per la pace. Cantando giravamo in tondo fino a fermarci. A quel punto dovevamo fare tutti un passo indietro e poi in avanti per guadagnare un po’ di spazio, perché il pubblico indiano tende a starti proprio appiccicato addosso, una caratteristica che riscontri dovunque, dalla strada all’ufficio delle Poste. Stefano ed Enrico aprivano con un numero comico da 1 a 5 palle, chiudendo con Stefano in seconda colonna e noi intorno, tutti a fare 5 palline. Il pubblico era incantato. Poi entrava Ruffino con il suo numero di clown, scegliendo dei volontari tra il pubblico. A fine numero partiva la musica con Cristina, Rose e Mariapaola che entravano a passo di samba e conducevano fuori il volontario di turno. A questo punto entrava Claudio Cremonesi con un suo numero di clown, acrobatica e giocoleria, presentando Cristina come una famosissima cantante lirica. Cristina cominciava a cantare con degli acuti stonatissimi, ma molti indiani pensavano fosse davvero un’importante cantante di lirica e a volte anche la stampa locale ne parlava così! Poi entrava Rodrigo col monociclo vestito da neonato in fasce, proponendo un numero che terminava con una routine a tre clave; lì entravo anche io, affiancato poi da Luca e infine da Lucio, in un crescendo di numeri di clave e passing con tanto di volontario, nuovamente scortato poi fuori dalle ragazze a ritmo di samba. Seguivano Stefano e Luca, travestiti da galline con tanto di cresta, con un numero di spinning, anche qui coinvolgendo altre persone del pubblico. Di nuovo in pista Ruffino, con palloncini e tromba da clown, nel personaggio di Guglielmo Tell e poi Lucio con il numero ad effetto del pallone che ti metti in testa e gonfi respirandoci dentro. Chiudeva lo spettacolo Rose con la sua performance di danza e contact, ricevendo sempre dei forti applausi!!! Avevamo anche degli, tre entrate di diabolo di Rodrigo e Claudio, che giocavano con il pubblico. Al termine andavamo via in parata con la musica e in genere a quel punto ci offrivano tè e pasticcini.

 

 

MORALE

 

Stefano

Quello che piu mi ha sorpreso in questo viaggio è stata la semplicità della gente, la bellezza e l’ingenuità, il contatto con la natura e soprattutto il rispetto verso gli altri. Questa esperienza ha lasciato dentro ognuno di noi un forte segno che non dimenticheremo mai.

 

Antonio

La cosa che mi ha colpito di più è la presenza degli animali, che vivono in assoluta libertà e dappertutto. Gli indù sono vegetariani, molti anche vegan, mentre i musulmani mangiano solo i polli e i capretti. Così come mi ha colpito la organizzazione di un ciclo biologico dove tutto viene riciclato. Chiaramente esiste anche un’India che insegue il progresso, che usa la plastica e le tecnologie moderne che a noi non interessava visitare e dove il contrasto con l’India dei villaggi è molto stridente.

Visto che eravamo in 12 ognuno avrà portato a casa le sue impressioni, ma nel muoverci e lavorare insieme siamo riusciti a trovare un’ottima mediazione. Il segreto per poter lavorare in 12 significa è saper stare zitti, soprattutto quando tutti cominciano a parlare uno sull’altro!!

 

 

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