di Raffaele De Ritis - rderitis@hotmail.com
Difficilmente il circo, nella sua storia millenaria, ha raggiunto la diffusione dei nostri giorni e il circo del duemila si caratterizza per essere finalmente parte della società e della vita urbana. Questo si deve inizialmente alle scuole di circo, prima all’Est, poi in Usa e Francia, che hanno generato nuove forme di compagnie circensi e hanno dato nuovo impulso anche al circo tradizionale. Nell’ultimo trentennio i programmi dei grandi tendoni non avrebbero potuto sopravvivere senza le attrazioni cinesi e russe. Del resto l’economia del circo familiare, l’arte delle grandi e numerose famiglie di virtuosi, soprattutto italiani, è compromessa dall’evoluzione della nostra società. Questa evidente empasse del circo di tradizione, per alcuni anacronistico, per altri a corto di idee, per i più solo un po’ romantico, ha spesso sollevato in Italia la facile contrapposizione col “nuovo circo”. Il fatto è che la contrapposizione culturalmente non ha senso (non c’è stata in Russia, non c’è in Francia). E’ una costruzione in parte giornalistica, e soprattutto propagandistica, in seguito ai timori dei vertici dell’Ente Circhi verso la inattesa visibilità mediatica e la conseguente potenzialità di riconoscimento istituzionale delle nuove forme emergenti. In Italia in realtà il “nuovo circo” nei fatti non esiste ancora. Vi è una gran voglia di farlo, un grande appetito di vederlo, e alcuni tentativi, spesso anche di valore, nella formazione e nella realizzazione di spettacoli. “Ombra di Luna” è l’esempio per eccellenza. Anche l’orientamento del Ministero, sembra iniziare a premiare nel settore della “promozione” alcune iniziative che rientrano chiaramente nel campo del “nuovo”. Di certo il “nuovo circo” non si fabbrica in provetta, né è un etichetta riciclabile all’istante da chi fa teatro di strada solo perché ricorre anche a tecniche circensi. Il circo (come danza, pittura o musica) è essenzialmente tecnica e disciplina e la ricerca circense ha lasciato delle tracce dove più forti erano le basi tecniche circensi. Fare ricerca significa usare questa tecnica per parlare d’altro, per affrontare dei contenuti, per tendere la mano alla performance, alla ricerca teatrale, al video o a quant’altro. Senza una base tecnica si può solo arrivare a fare qualche vaga specie di pantomima danzata, aggrappati casualmente ad un trapezio o tentando di arrampicarsi l’uno sull’altro, pur con la buona intenzione di raccontare una storia o di evocare delle immagini. Dunque il primo requisito per tentare il nuovo circo è, banalmente, conoscere il circo. Soprattutto quello tradizionale: e l’Italia è il più straordinario osservatorio del mondo per capire la cultura del circo di tradizione, per capire come la regola principale del circo, nuovo o vecchio, sia il legame indissolubile tra lavoro in pista e vita quotidiana. Per questo il mio consiglio per chi voglia fare l’artista di circo o di strada è di trascorrere almeno un anno al seguito di un circo tradizionale. Prima di ciò c’è la formazione, c’è urgenza di scuole di circo e questo è il grande problema in Italia. Servono le scuole amatoriali, senza pretese, che soprattutto nell’infanzia diffondano una cultura del circo e creino il pubblico di domani. Servono le scuole professionali, che nel circuito mondiale ormai solido delle scuole di circo più riconosciute (Chalons, Parigi, Londra, Bruxelles, Kiev, San Francisco, Montreal), prevedono un programma didattico che oscilla tra la formazione di numeri moderni per il circuito del circo commerciale di qualità, e la preparazione di allievi polivalenti per spettacoli di ricerca. Il segreto della didattica circense, dai tempi di Mosca, è stato sempre lo stesso: integrazione tra maestri provenienti dal circo tradizionale e figure del mondo della danza contemporanea e del teatro. Chalons si è sbilanciata troppo verso il secondo lato, l’Accademia Italiana verso il primo. In Italia è ora tutto da fare. C’è un tentativo a Bologna, c’è la partenza di Torino, c’è da capire il futuro dell’Accademia, vi sono molte realtà minori in espansione. Ammesso però che si risolva il problema della formazione, vi sono altri due fattori: produzione e circuito. I pochi coraggiosi tentativi di produzione non trovano adeguata diffusione tranne qualche festival; le stagioni teatrali italiane programmano in alcuni casi “nuovo circo” ma è ancora troppo poco per la sopravvivenza di una compagnia, e ricorrono più volentieri all’esotismo francese. Tutte queste riflessioni potrebbero condurre a un’esigenza di partenza: un momento di coordinamento di tutte le forze che in Italia hanno interesse professionale per il “nuovo circo” e tentare magari la costituzione di un organismo di controllo e coordinamento, anche per decidere cosa è nuovo circo e cosa non lo è…Forse è il momento per iniziare a muovere qualcosa.
Raffaele De Ritis, regista, storico e formatore, si occupa da quasi vent’anni di circo in tutto il mondo, ed è attualmente regista al Big Apple Circus di New York, una delle culle storiche del nuovo circo.