riportiamo qui la seconda parte dell'intervista a Sara Felder, rilasciata nel 1996, e publicata sul n.7 di Juggling Magazine (la prima parte dell'intervista è apparsa invece sul n.6 di Juggling Magazine) nella foto: toss-up dei giocolieri di Saltimbanchi alla Romana davanti le mura del carcere di Rebibbia
HAI MAI INCONTRATO I TUOI ALLIEVI AL DI FUORI DELLA PRIGIONE?
Si, ma non proprio i miei allievi, piuttosto persone che erano state dentro e che avevo conosciuto. Ci salutavamo come buoni amici. Penso che vogliamo creare delle separazioni tra noi e loro, in modo che essi ci appaiano tutti uguali. Sono tutti vestiti allo stesso modo e noi invece no. Operiamo questa separazione perché ci fa comodo pensare che il mondo sia diviso in criminali e non-criminali, ma questa non è la verità. Siamo tutti uguali e ciascuno di noi potrebbe trovarsi dentro la settimana prossima. Qualcuno di quei ragazzi era davvero pericoloso e sono contenta che stesse in prigione, mentre altri sembrano persone miti e responsabili. La speranza è che ciascuno riesca a reinserirsi. La speranza è che il juggling li aiuti a trovare delle soluzioni creative, a creare qualcosa di bello, a scoprire un modo di interagire con gli altri che sia salutare. Alcuni di loro, quando la famiglia veniva a visitarli, chiedevano qualche pallina in più per poter insegnare alle loro mogli, o ai figli, quello che avevano imparato. E' un progresso straordinario, e sono molto soddisfatta di aver contribuito in qualche modo.
IN COSA VACAVILLE DIFFERIVA DA SAN QUINTINO?
Vacaville è un penitenziario dove vieni destinato non per il tipo di crimine che hai commesso, ma per il tuo stato mentale o fisico. Ci si trovano quindi anche detenuti pericolosi, e per questa ragione deve essere di massima sicurezza. Hanno una popolazione enorme di detenuti su sedia a rotelle o confinati in un letto, tanti detenuti ciechi, e praticamente è un ospedale. Lì si trova il reparto più grande del paese per malati di AIDS. Un sacco di persone allo stadio terminale, e c'è anche un ospizio. E' una atmosfera molto pesante, con persone che muoiono. Inoltre, al contrario di San Quintino, tutti gli ambienti sono al chiuso, e tutta questa energia rimane costretta tra le mura. C'è anche una altissima percentuale di gay, transessuali e travestiti. E' davvero un mix straordinario di persone, un esperimento sociale incredibile, dove si diventa più tolleranti e ciascuno, guardie comprese, trova comunque un modo per relazionarsi con tutti gli altri.
Ma era davvero pesante lì, sembrava un buco nero. Un sacco di energia e di disperazione ed era tutto costretto. A San Quintino c'erano un sacco di spazi all'aperto, ma Vacaville era incredibile, con corridoi che andavano da una parte all'altra degli edifici. Insegnavo juggling proprio nei corridoi, e potevo sentire le urla o lo sbattere contro le pareti degli internati, oppure dovevamo fare largo per far passare qualcuno che veniva portato sulla barella con la camicia di forza.
QUANTO POTEVA COINVOLGERE IL JUGGLING IN QUELL'AMBIENTE?
La parte strana di questa storia è che il juggling sembrava funzionare in modo magnifico. L'intero penitenziario era davvero come un circo. C'erano così tanti pazzi e tante situazioni strambe, che non c'era niente di anormale nel vedere persone che giocolassero. E tutti lo capivano, comprese le guardie. Tutti convenivano che fosse la cosa più logica da farsi, che avesse un senso in quel contesto. Avevo a che fare con persone psichicamente malate che venivano imbottite di medicinali al punto da non avere nemmeno più la forza di guardarmi negli occhi. Persone con cicatrici di armi da taglio, che avevano tentato il suicidio più volte. Gli parlavo e pensavo che non avrebbero compreso una sola parola di quello che gli dicevo. Invece loro con una calma incredibile prendevano i foulard e cominciavano a praticare il juggling. Il lavoro che si svolgeva lì era qualcosa di straordinario. In un certo senso più la situazione è disperata, più le persone reagiscono in modo creativo. E' una caratteristica che non appartiene solo ai detenuti, ma a tutte le persone. A volte mi sentivo come un terapista del tempo libero, ma so che riuscivo a coinvolgere e far lavorare quelle persone, a fargli mettere su degli spettacoli e a farli applaudire. In un certo senso erano molto creativi, senza inibizioni, e sicuramente le dosi di droghe e farmaci a cui erano sottoposti li aiutava ad esprimersi con maggiore libertà.
In quel periodo mi ero un pò scocciata di insegnare solo juggling, così introdussi lezioni di teatro. D'altro canto avevano molti limiti e con il juggling non potevo spingermi troppo avanti. E' toccante vedere il potere terapeutico del juggling a livelli di base. E' quello che io chiamo il "Grande Aha". Il momento della scoperta, è davvero divertente. Una delle cose più divertenti dell'essere vivi è scoprire o apprendere qualcosa di nuovo. Così essere capaci di regalare quel momento di "Non ce la faccio, non ce la faccio, oooh, ce l'ho fatta", è davvero affascinante.
PENSI DI CONTINUARE QUESTO TIPO DI LAVORO?
Ora sto insegnando in un centro di reinserimento sociale a San Francisco. Per uomini e donne che sono appena usciti di prigione, e molti hanno a che fare con qualche tipo di dipendenza da droghe. In un certo senso questa è anche una fase di transizione per me, per uscire dal circuito delle prigioni. Insegno clownerie e teatro, e facciamo juggling all'interno del programma di clown. Tra poche settimane comincerò un programma di lavoro alla prigione locale. Come vedi ancora non sono completamente fuori dal circuito. Il progetto gode di una sovvenzione dell' Art Council della California e questo dovrebbe essere l'ultimo anno. Si, immagino che dopo cambierò.
Ma dirigere questo gruppo di clown è stato davvero divertente. Loro si esibiscono per un pubblico di bambini possono anche andare all'esterno a fare spettacoli, così ora in questo istituto abbiamo più scambio con il resto della società, ed è molto stimolante. Non so se tornerò ad insegnare in prigione. Sento che c'è qualcosa in me che mi attira verso quelle che noi definiamo popolazioni speciali. Che imparo sempre molto da loro e che penso sempre di potergli dare qualcosa. Ma potrebbe forse essere giunto il momento per qualcuno di continuare questo progetto messo in piedi a San Quintino e a Vacaville prima che io arrivassi. Penso di aver pagato un caro prezzo per questo, emotivamente e fisicamente. Il contatto con la prigione è molto duro, ed io andavo lì solo due volte la settimana. Riferivo spesso alla mia boss di quanto duro fosse lavorare in quell'ambiente e lei mi rispondeva di imparare a lasciare tutto dietro di me una volta uscita dalle mura.
E LE TUE ORIGINI COME ARTISTA E GIOCOLIERA?
Bene, era il 1978, ero studentessa all'UCLA e vidi un volantino che pubblicizzava lezioni di juggling. Avevo sempre desiderato di poter giocolare, mi iscrissi al corso e la cosa mi riuscì sorprendentemente facile. Non potevo crederci. Divenni amica dell'istruttore, Edward Jackman, ed entrambi dopo un pò lasciammo la scuola. Rimanemmo insieme per un periodo e frequentavo i suoi amici che erano tutti bravi giocolieri. Ero l'unica persona del gruppo che non stesse lavorando sulle sette palline! Ero una giocoliera abbastanza brava, imparavo molto velocemente, ed ero portata per tutti i trick con tre e quattro palline. Ma attorniata da persone che lavoravano con sette palline non mi veniva proprio di considerarmi qualcosa di eccezionale. Dopo aver lasciato la scuola ritornai a New York, e lì mi allenavo al club di juggling, dove a volte veniva John Grimaldi. Continuai così a migliorare e molti, molti anni dopo ritornai a scuola a Berkeley. Qualcosa accadde in quel periodo. Ero in Israele con una borsa di studio annuale, ed ero con un'amica in una libreria per donne ad Haifa. Sentivo che parlava con qualcuno "Si d'accordo ci saremo. Quando? Si la mia amica sa giocolare e si esibirà. Ci saremo." Mi aveva praticamente fatto scritturare per un piccolo spettacolo serale! Non mi ero mai esibita in pubblico prima d'allora e in quell'occasione si trattava di fare uno spettacolo di beneficenza per una libreria che loro stavano cercando di aprire a Gerusalemme. Feci il mio spettacolo e non mi sembrò così difficile, nè tanto male, così pensai che forse quel tipo di attività avrebbe potuto interessarmi. Mi sembrava davvero ironico aver imparato a giocolare ed essermi allenata in posti come New York, San Francisco, Los Angeles e Berkeley, che sono dei centri importanti nel panorama del juggling, per debuttare solo in Israele. Allora ero forse la giocoliera più brava in Israele, e questo mi diede la forza per esibirmi. Sviluppai così un mio stile personale, che ancora conservo oggi. Pensavo che la mia tecnica non fosse il massimo, così aggiungevo alla performance alcune parole scritte, che da sole non erano nemmeno tanto buone, ma che combinate con il juggling diventavano interessanti. Dopo essermi esibita in piccole manifestazioni ritornai in America, all'Università di Berkeley. Ero molto coinvolta nel movimento anti-nucleare, e presi parte con le mie performance a molte manifestazioni, usando la stessa formula dove completavo la performance con parole che pronunciavo mentre giocolavo. Mi accorsi che mentre giocolavo avrei potuto dire qualsiasi cosa e le persone mi avrebbero prestato molta attenzione.
TI AIUTA ANCORA QUELLA FORMULA NEL PRESENTARE LA TUA IDENTITÀ DI LESBICA EBREA?
Sì, certamente. Rivedendo il mio primo spettacolo "Beyond Brooklyn" mi accorgo che non esiste alcuna scena che non contenga una manipolazione di oggetti. Nessuna esclusa. A quel tempo avevo già lavorato tre anni per la Pickle Family Circus, dove avevo imparato un bel pò di trick, e sicuramente avevo fatto molta esperienza sul come presentare il mio corpo in scena. "Beyond Brooklyn" parla molto della condizione di essere ebrea e di essere lesbica e delle rispettive identità. E' la storia di una donna che cerca di armonizzare la sua infanzia da ebrea nella Brooklyn di New York con la sua vita da artista lesbica in California, e il juggling si rivela una metafora utilissima. Ogni volta che vuoi parlare di equilibrio e di contraddizioni il juggling funziona benissimo. Fui così capace di raccontare diverse storie usando differenti tecniche ed oggetti da manipolare. Nel mio nuovo spettacolo "June Bride", quasi tutto il juggling che impiego è invece separato dal testo e faccio un uso maggiore dei monologhi e della scrittura. Mi piace molto cambiare l'equilibrio di questi mezzi espressivi. La sola eccezione riguarda l'episodio della circoncisione, dove giocolo con questi coltelli e recito questo poema sulla circoncisione. Sì, penso di essere, come tutti noi, alla ricerca della mia propria voce. Mi piace manipolare oggetti e parole, così come mi piace farlo a volte contemporaneamente, altre volte in tempi separati. Non penso di essere una giocoliera particolarmente creativa dal tecnicamente parlando. Non sono una di quelle che inventa sempre nuovi trick, ma posso essere quella che prende i nuovi trick e li utilizza in un contesto visivo, per esempio. Sento che sono stata capace di affacciarmi al teatro attraverso il juggling, e che il juggling mi ha aiutato a trovare una voce anche come scrittrice. Il juggling è stato un buon compagno con me, davvero un grande amico. Mi piace spesso andare allo studio e semplicemente giocolare. E quando ero al circo, e prima ancora, praticavo tantissimo. Intendo dire ore ed ore; mi alzavo all'alba e mi allenavo anche prima delle prove. Ci sono momenti, anche se il mio lavoro di adesso potrebbe far sembrare il contrario, in cui adoro semplicemente andare allo studio ed allenarmi, sentire il mio corpo al lavoro, il sudore, i tagli che mi faccio con quegli stupidi coltelli.