Five Quartet Trio getta la sue radici in un'amicizia ventennale, anzi ancora più lunga. Io (A) e Giulio, in particolare, ci siamo conosciuti agli scout quando avevamo otto anni. Io (G) ho sempre fatto ginnastica artistica, da bambino. Cambiando palestra, ho conosciuto Cristiano. Un po' di anni dopo si è aggiunto anche Ale. E dal 2000 abbiamo iniziato con la giocolieria, avevamo un amico che faceva giocolieria, con tre palle. A tutti noi di base piaceva il circo, e da piccoli magari provavamo a fare i giocolieri con i mandarini. Attraverso lui ci siamo interessati un po' alla tecnica delle tre palle, e da lì ci si è aperto un mondo. Poi le convention e l'ambiente romano hanno fatto il resto e quando Cristiano ha conosciuto un ragazzo che sapeva già fare giochi più complessi è stato il primo a fare il passo: a comprare delle palline da giocoliere!
A: e quando questa passione si è trasformata da hobby a scelta professionale?
543: nel 2003, più o meno. Ci avevano chiesto di allestire un numero in quattro durante una festa di autofinanziamento del centro sociale Strike, in cui noi tenevamo un corso di acrobatica. Quel numero in realtà è morto lì. Io però lavoravo per una compagnia di ballo, in cui facevo l'acrobata. E il responsabile ci chiese di andare a Bologna in quartetto con “Mentite Spoglie”, che era il nome di questa compagnia, per fare il nostro spettacolo. Quello fu il nostro primo spettacolo pagato. Ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: “perché non montiamo uno spettacolo di mezz'ora e lo portiamo in giro per le strade”? In quel periodo ognuno di noi aveva la sua occupazione: chi studiava all'Accademia di Belle Arti, chi era geologo al CNR, chi faceva studi fotografici. Ci è voluto più o meno un anno per lasciare i rispettivi lavori o studi. Abbiamo montato lo spettacolo, lo abbiamo portato in giro per le strade per una stagione, e quando siamo tornati avevamo già lavori e contatti per il periodo successivo, quindi abbiamo deciso di dedicarci solo a quello. Ma è venuto molto naturale: man mano che le date aumentavano, ci siamo accorti di doverci dedicare solo a quello.
A: Arriviamo così a Five Quartet Trio. Cosa c'è dietro, o meglio dentro, questo progetto artistico?
543: un punto in comune tra tutti e tre è che ci piacciono le cose chiare, ci piace il contatto diretto con la gente. Il messaggio deve essere sincero, non ci piace lasciare delle cose in sospeso. Lo spettacolo è fatto per il pubblico e non per noi stessi, se il pubblico non lo coglie o non lo capisce è un grosso problema. E soprattutto ci piace lavorare per strada, perché lì il contatto con le persone è reale. Prendi ad esempio il nostro primo spettacolo, “On the table”, lo abbiamo certo montato prima in palestra, ma lo abbiamo poi modificato e cambiato con il lavoro sulla strada, in base alle risposte del pubblico. Nessuno di noi veniva da una formazione teatrale. Tecnicamente avevamo preparato la ginnastica e la giocolieria, poi abbiamo realizzato una coreografia di base e l'abbiamo poi aggiustata e sviluppata in progress: durante uno spettacolo si provava una battuta, un gesto, e vede come viene accolto dal pubblico. Siamo stati fortunati perché quando facevamo ginnastica avevamo un insegnante che al saggio finale era molto attento a divertire la gente, per cui sceglieva musiche particolari, numeri, trovate... rendeva il saggio di fine anno come un piccolo spettacolo, e questo ci ha aiutati poi nel costruire il nostro lavoro. Ad esempio, ci ha trasmesso l'importanza della musica: noi prima scegliamo la musica e su quella basiamo coreografia e movimenti. La musica non è un semplice sottofondo su cui impostare movimenti liberi, è la base della costruzione dello spettacolo.
A: come mai avete scelto la fermata dell'autobus?
543: è un ottimo modo per inserire in scena degli attrezzi ginnici che però abbiano anche un legame con la storia. Poi ci piaceva come luogo per ambientare una storia. Abbiamo iniziato a pensarci mentre eravamo a Buenos Aires, abbiamo immaginato i personaggi, le interazioni, ciò che poteva succedere...e abbiamo tracciato delle linee di sviluppo. Poi, per la parte più propriamente registica, è intervenuto Adrian Schvarzstein a darci una mano. I suoi consigli su come articolare i vari momenti e unire le diverse parti sono stati molto importanti. Adrian è stato molto importante anche a coordinare i rapporti tra di noi. Noi perdevamo molto più tempo a spiegarci le idee reciproche e a discuterle che non a provare e fare concretamente. Insomma, la storia l'abbiamo elaborata noi, ma Adrian ci ha aiutato a costruirla e ha dato un taglio netto alle discussioni. Abbiamo avuto la fortuna di trovare qualcuno che aveva una visione artistica molto vicina alla nostra, e ci siamo trovati molto bene anche umanamente, nello stare insieme. Adrian è molto bravo, ci ha capiti e ci ha aiutati a costruire il personaggio. Riusciamo sempre ad esprimerci, perché comunque in questi anni c'è stata un'evoluzione, soprattutto nella costruzione del personaggio: prima eravamo tre persone, nel senso che eravamo noi che facevamo delle performance per strada, senza la ricerca “attoriale” di un personaggio. Ora invece, nello spettacolo “Bus Stop”, abbiamo costruito tre interpretazioni diverse tra loro e ben definite. E anche la performance non è più semplicemente un numero, ma è una storia più articolata, che racconta anche in parte di come abbiamo lasciato le nostre vite per dedicarci al circo.
A: ma quando tre persone lavorano insieme così intensamente, cosa è la loro vita reale e cosa invece la vita artistica? Esiste una sfera privata per voi e quanto di questa entra nella vita artistica? E quello che ricavate fuori, quando siete indipendenti l'uno dall'altro, come torna nello spettacolo?
543: sicuramente i tre personaggi sono basati su noi stessi, anche perché nessuno di noi è un attore professionista e quindi era la scelta più naturale. Era più facile usare caratteristiche nostre o delle dinamiche che esistono realmente tra di noi.. Crediamo che nello spettacolo ci sia più o meno il 50% di vero, basato su quello che siamo noi e il nostro modo di stare assieme e il 50% di fittizio, costruito. Per quanto riguarda il rapporto tra vita “esterna” e vita del gruppo, è un po' come quando uno vive in casa con i genitori e ci litiga tutti i giorni, poi va a vivere da solo e quando torna è tutto più tranquillo e rilassato... siamo arrivati un po' a questo livello. Il gruppo ha trovato un suo equilibrio: si sta assieme, si lavora, poi ognuno si dedica alle sue cose, chi viaggia, chi sta con la fidanzata.. e poi, quando torniamo assieme, siamo tutti più carichi e stiamo bene assieme.
Ci piace lavorare, quando facciamo gli spettacoli siamo felici! Anche le dinamiche negative sono per lo più a livello pratico e organizzativo che non interne allo spettacolo. Ad esempio, sulla suddivisione dei compiti. Certo, alla base c'è anche un rapporto lungo e solido: magari si può discutere e litigare e due ore dopo è già tutto come prima. Più che mediare, essendo in tre c'è il “due per uno”, nel senso che in genere, se due su tre sono d'accordo su qualcosa, il terzo si adegua. Per il resto va a periodi: in certi momenti due sono in disaccordo e un'altro media, ma i rapporti e i ruoli cambiano periodicamente.
A: se adesso ognuno di voi potesse fermarsi a riflettere e avesse la possibilità di realizzare un percorso artistico, a cosa vi dedichereste?
543: come Five Quartet Trio vorremmo ampliare lo spettacolo, magari formare una compagnia più allargata, con la possibilità anche di realizzare uno spettacolo completamente diverso. Ci piacerebbe portare avanti anche lo spettacolo “Bus Stop”, che è uno spettacolo giovane, lo portiamo in giro da un anno soltanto e va sicuramente arricchito con nuove parti e nuove competenze che abbiamo acquisito singolarmente, attraverso viaggi e residenze. Siamo contenti di come è venuto lo spettacolo, ma tutti e tre vogliamo migliorare tecnicamente e approfondirlo. È un lavoro lungo, perché non basta imparare delle cose tecnicamente: bisogna lavorare sull'interpretazione, sulla memoria, sullo scorrere fluido e naturale dello show... quando arrivi a questo momento, cioè che tutto viene naturale, puoi aggiungere nuove cose e ricominciare il percorso da capo. Devi riuscire a fare una cosa in maniera spontanea, senza pensarci, altrimenti lo spettacolo non scorre bene. E poi c'è anche la difficoltà del personaggio, che è qualcosa di nuovo, che non avevamo mai considerato negli spettacoli precedenti. È molto impegnativo, un lavoro a tempo pieno. Devi riuscire a mantenerlo in ogni momento, anche durante un numero di giocolieria particolarmente difficile. Ci è capitato di fare degli spettacoli tecnicamente riusciti, in cui però perdevamo completamente il personaggio, altre volte invece ci sono magari degli errori esecutivi ma la parte attoriale è ben riuscita. La realizzazione di “Bus Stop” ci ha aiutati anche a migliorare il nostro primo spettacolo, “On the Table”. Quest'anno ci è capitato di doverlo proporre di nuovo, e il grado di consapevolezza di noi stessi che avevamo raggiunto con “Bus Stop” ci ha permesso di essere molto più sciolti e naturali anche nel rifare il nostro primo show. Alla fine dello spettacolo lo abbiamo sentito tutti e tre.
A: quali sono al momento attuale i vostri punti di riferimento e le influenze che subite in modo più forte?
543:: il fatto che nessuno di noi abbia frequentato una scuola ha i suoi pro e i suoi contro. Come pro c'è il fatto che non siamo rimasti influenzati da certe tendenze o dagli esempi di maestri e performer famosi. Ad esempio, abbiamo scelto Adrian perché ci piaceva il suo modo di interagire con il pubblico, basandoci unicamente sul nostro gusto personale. Apprezziamo il fatto di essere così liberi, anche se è ovvio che cogliamo ciò che piace da altri spettacoli e artisti. Non c'è una compagnia o un artista cui ci ispiriamo in particolare... ci piacciono gli spettacoli in cui si crea una rapporto forte con il pubblico, che sono in grado di sorprendere e divertire anche attraverso mezzi tecnicamente semplici, ma fatti bene e nel momento giusto.
A: In che direzione vanno oggi i vostri allenamenti e la vostra formazione continua?
543: Per allenarci e approfondire la vostra formazione, sia tecnica che attoriale facciamo abbastanza poco, tecnicamente invece ci alleniamo tanto, di base facciamo tre incontri settimanali di gruppo per le prove dello spettacolo, e poi durante il resto della settimana ci alleniamo singolarmente. Chiaramente c'è il limite fisico e legato all'età. Noi impariamo ancora cose nuove, certo adesso che siamo cresciuti è necessario scaldarsi di più e ci vuole più tempo, ma l'unico limite che ci poniamo è il punto cui riusciamo ad arrivare. È anche vero che crescendo si acquisisce maggiore consapevolezza del proprio corpo e ci si riesce ad esprimere meglio. Si impara anche a non fare sforzi fisici eccessivi. Conoscere il proprio corpo è fondamentale. Abbiamo avuto anche diverse persone di riferimento. Ad esempio, adesso frequentiamo tutti un osteopata. Non ci piace molto l'approccio della medicina tradizionale, è troppo legata al rapporto causa-effetto. Abbiamo comunque sentito l'esigenza di qualcuno che seguisse la nostra forma fisica in modo specifico. Per anni abbiamo cercato di rivolgersi solo a persone che lavorassero con atleti o sportivi.
A: Definireste il Five Quartet Trio un gruppo di acrobati, di giocolieri o di clown? E perché avete scelto proprio queste discipline?
543: Non ci definiremmo oggi un gruppo di clown, anche se non è molto chiaro quello che faremo e le strade che può prendere il progetto. Abbiamo scelto l'acrobatica e la giocolieria perché è ciò che abbiamo sempre fatto, sin da piccoli, per cui è venuto naturale. La nostra fortuna è stata forse quella di poter mettere assieme diverse discipline in cui comunque avevamo raggiunto dei buoni livelli, in un momento in cui invece le discipline erano molto più rigide e fisse: c'era o l'acrobatica o la giocolieria, non tutte e due assieme.
A: visto che siete sia acrobati che giocolieri, ditemi qualcosa su queste due discipline: come si incontrano, come convivono?
543: sono due discipline completamente diverse, quasi complementari. È molto diverso anche come l'adrenalina agisce sul corpo: nell'acrobatica l'adrenalina è fondamentale perché non ti fa sentire la fatica e lo sforzo. Nella giocolieria al contrario devi essere freddo, devi controllare totalmente l'adrenalina. In tutte e due comunque è fondamentale avere contatto con le emozioni e le sensazioni del tuo corpo, anche se in modi diversi. Il controllo esercitato dalla mente è sempre la cosa più importante. La concentrazione viene prima di tutto. l'acrobatica è più automatica. Serve concentrazione ma il corpo è più istintivo. Nella giocolieria bisogna essere concentrati e non bisogna perdersi nel riflettere su ciò che si sta facendo, altrimenti il rischio di sbagliare aumenta. Anche perché un salto può non essere perfetto ma è meno evidente, nella giocolieria se sbagli cadono tutte le palline! Quando facevamo lo spettacolo “On the Table” c'era un momento in cui finiva la giocolieria e facevamo solo dei numeri di acrobatica. Per tutti e tre, la tensione dello spettacolo finiva lì, perché è molto più difficile sbagliare con l'acrobatica. Quando hai molta esperienza con l'acrobatica perdi la paura di farti male, che è l'ostacolo iniziale, ed è come andare in bici: una volta che hai imparato non ti dimentichi più. Con la giocolieria invece è il contrario, non viene mai automatica ma bisogna concentrarsi molto. A volte è difficile passare continuamente da una all'altra, con questi due diversi stati mentali e fisici, sono una il contrario dell'altra! Sono opposte e complementari.