In principio, un sogno


Sognavo il Circo fin da piccolo. Mi portarono a vederlo, per la prima volta, i nonni. Un piccolo circo approdato nel mio paesello, a Vespolate, tra i campi di riso novaresi. Da allora cominciai a sognare il Circo anche di notte. Poi, al liceo, la scoperta del circo dei circhi, Le Cirque du Soleil. Ore passate su YouTube e internet per sentirmi più vicino a quel mondo così lontano. E già appassionato di teatro e giocoleria mi dissi: “quando riuscirò a fare qualcosa con il Cirque, sarò felice”. Un sogno quasi irraggiungibile, mi dissero: «Uno su mille ce la fa». Meglio iscriversi a ingegneria meccanica, pensarono per me. Ma dalla mia cameretta io e il mio diablo già avevamo fatto outing, perfezionandoci in Italia e in Svizzera, e nel settembre 2011 avevamo dato vita, con altri tre amici, alla Scuola di Circo e Teatro Dimidimitri a Novara.

Arrivò di lì a poco, nell’ottobre 2011, la mia prima occasione: il Cirque cercava anche in Italia nuovi talenti da inserire nelle sue produzioni. Il mio primo approccio al colosso canadese fu a Milano: sala fredda, presenti in 33, io il più piccolo sia di età (21 anni) che di statura che, vestito tutto di nero, sembravo ancora più minuto. Mi rimandarono a casa dopo tre ore di lavoro e con in tasca la penna col sole. Ottimi complimenti ma ancora troppo giovane, mi invitarono a ripresentarmi più avanti. Ero, comunque, felicissimo: formalmente non era un no e per alcune ore avevo respirato la stessa aria degli artisti del Cirque du Soleil.

Fu quella una scarica di motivazione e determinazione. Continuai a dedicarmi alla mia passione e alla Dimidimitri, congelando il mio futuro da ingegnere meccanico e conseguendo, invece, a Roma il titolo di ‘Formatore di circo sociale’, presso la facoltà di Scienze Motorie. Nel frattempo, il grido interiore “Punto al Sole!” non si era assopito, anzi: girai mezza Europa per studiare dal vivo gli spettacoli della Compagnia Canadese e fu solo per caso che lo scorso settembre, navigando in internet, scoprii che il Cirque era di nuovo a Milano.

Stavolta cercava caratteri specifici per la nuova produzione dedicata all’Expo 2015. Il provino era per il giorno dopo. Cancellai al volo tutti gli impegni e mi precipitai a Milano. Per prima cosa mi chiesero di interpretare un “bambino che fa una magica scoperta”. Richiesta un po’ vaga, ma presentai la mia interpretazione. Piacque. Per il resto della giornata valutarono come lavoravo in gruppo, chiesero esercizi di acrobatica, di ballo e giocoleria e tanta, tanta improvvisazione. Tra tanti candidati, rimanemmo in tre e ci chiesero di tornare due giorni dopo. Mi ripresentai più carico e preoccupato della volta precedente, con un misto di timore, ansia e determinazione, voglia di fare e di dimostrare. Le prove si erano fatte più difficili: scene di improvvisazione e sentimenti da interpretare con una precisione millimetrica. Mi rimarrà sempre in mente una prova: mentre ero arrampicato a tre metri da terra, mi chiesero sorridenti: «se dovessi saltare giù durante lo spettacolo?». La mia vocina interiore gridò “Per il Cirque!” e, senza pensarci, saltai. Ci rimisi quasi un ginocchio, ma ne valse la pena: non volevano che saltassi sul serio, ma credo provò loro la mia convinzione.

Furono due giorni estenuanti, dopo i quali mi mandarono a casa dicendomi «tranquillo, ci sei piaciuto, benvenuto! Ci facciamo vivi noi per ufficializzare il tutto». Ero contento, ma sopraffatto e incredulo: era successo tutto troppo velocemente. Dopo due settimane, venerdì 17 ottobre – contro ogni diceria – infine il verdetto: «The reason of my email, it’s because I have the pleasure to announce that you are been chosen to participate in this production, CONGRATULAZIONI!». Ero al supermercato, nel reparto dei vini, quando ricevetti l’email. Non ci potevo credere: ero appena entrato nel Cirque du Soleil! Comprai una bottiglia per festeggiare.

Ci misi giorni per convincermi che era tutto vero, che il sogno stesse diventando realtà. Mi aiutò l’arrivo del contratto. Ci misi, invece, mesi a modificare la mia consolidata routine – all’interno della Dimi, in primis – in vista della convocazione alle prove e del nuovo inizio.
Che avvenne il 16 marzo in un capannone che il Cirque du Soleil aveva affittato per i due mesi di costruzione e di prova dello spettacolo. Una struttura gigante, in cui di colpo mi sentii piccolo, circondato da altri 47 artisti (di cui 23 italiani) e 150 persone coinvolte nei preparativi. Tantissimi nuovi volti da sei nazioni, ancora estranei l’uno all'altro, che da lì a pochi giorni sarebbero diventati la mia nuova famiglia. Quel giorno ci presentarono, per la prima volta, lo spettacolo – ALLAVITA! –, i costumi e i disegni illustrativi delle scene. Gioia al massimo ed energia incontenibile. Mi dicevo: “ora è tutto vero, non sto sognando!”.

Nel Sole


Fu durante il primo giorno di convocazione alle prove che mi parlarono di Leonardo, il mio personaggio.
Leo per gli amici, ero il bambino protagonista dello spettacolo.

Il giorno dopo, mi alzai presto – anche questo un grande cambio di routine –per essere alle prove alle nove precise, come da programma. Lo zainetto già pronto: un ricambio, un paio di scarpe da acrobatica, cibo sufficiente per sostenere la giornata, borraccia d’acqua e cinque palline da far girare nei momenti di pausa.

La sala prove dal giorno prima era rimasta gigantesca. Non la classica saletta allenamenti a cuiero abituato, ma lo storico Palazzo del Ghiaccio, in via Piranesi a Milano, in stile Liberty e ferro“Eiffel”, completodi uffici, piani, terrazzi, seminterrati e cantine e tutto per noi, per due mesi. Uno scrignoblindato – «Vietato l'ingresso senza permesso» recitava ogni ingresso – per impedire la fuga di anteprime. Un altro mondo.

Fummo subito affidati a dei maestri e veteranidel Cirquedu Soleil, divisi per disciplina – clown, acrobati, sbandieratori, ballerini –ma tutti coordinati dalla regista Krista. È con lei, la mamma di Leo,che cominciai a lavorare. Con Krista, i primi giorni,provai le intenzioni di Leo allo sfinimento. Difficile decifrare cosa aveva in mente, ancora di più seguire e rendere mia la girandola di emozioniche nello spettacolo investono il piccolo Leo.Dacuriosoa spaventato, poi emozionato e in lacrime di gioia da percorrere di corsal’immenso palco, quindi subito triste per la lontananza dall’amico Farro. Tutto in pochi secondi. Tutto da trasmettere a 8mila persone a sera, a ognuno chiaramente. Sfumaturesentimentali da provare a ripetizionefinché fossero perfette e“belle” da vedere.

Gli allenamenti, poi, furono subito da male ovunquee gliorari estenuanti: dalle nove del mattino, per nove ore o più, nel caso di un’ultima prova “non perfetta”, con sessioni di lavoro scandite da brevi pause. Ogni giorno con un orario variabile, comunicato alla sera, così da mantenere sempre alta l’attenzione.Ebbi subito il terroredi sbagliare orario di convocazione – un’ansia per chi, come me, non ha mai avuto orari – perché, come dice il Cirque, «se arrivi in anticipo sei in orario, se arrivi in orario sei in ritardo, se arrivi in ritardo sei licenziato». Decisi, così, di fare il secchione: arrivare ogni giorno con un’ora di anticipo. Cena all’ora del the, prove, treno, casa, nanna e via di nuovo treno e prove e la domenica come unico day off per il riposo mentale e fisico.

La mia vita vennedi colpo assorbitacompletamente dallo spettacolo. Cominciai a sognarlo anche di notte.Ma pur con questi ritminon era mai stata più regolare. Rincominciaiad apprezzare anche le piccole cose, come dormire un'ora in più la mattina e cenare una sera a settimana con la famiglia. Che divenne anche la squadra con cui cominciai a lavorare ogni giorno. Regnò dal principio tra noi un clima sereno. Lavoravamo per un comune obiettivo – il che creò affiatamento in fretta – e si iniziò a chiamarci per nome (“altrimenti che famiglia è?”). Tutti sorridenti, persino nel rimproverarti. Anche la regista con me si rivelòda subito affettuosa: ci teneva–e ci tiene tuttora –che fossi in forze fisicamente e mentalmente e ogni giorno mi chiedeva come stessi. Un piccolo gesto, una piccola attenzione che mi faceva sentireimportante.


Piacere, Leo!


Entrai in confidenza con il mio personaggio durante la prima settimana di prove. Il piccolo Leo, chericeve dalla nonna un dono, grazie al quale imparerà a diventare grande, mi parve da subitoun déjà vu: anche mio nonno, da piccolo, mi aveva regalato undiablo – per la zia che non sa cosa sia,è uno strumento di giocoleria –indicandomi la strada per il mondo adulto.

Alle prove conobbi subito anche Farro, con il quale avrei condiviso il palco: tre metri di amico immaginarioin gommapiuma eferro. Un’opera d’arte made in Canada mossa da 5 marionettisti con otto ore di allenamento al giorno per muoverlo nel modo più sciolto possibile (Farro, infatti, non solo cammina, ma si inginocchia, salta, corre, muove braccia e testa). Fu, invece, dopo alcuni giorni di prove, che tra noi artisti si sparse la voce di una conferenza stampa imminente. Non, però,di come come si sarebbe svolta o chi di noi avrebbe partecipato, portato dalla direzione.

Soltanto Leo e Farro –ci comunicarono un paio di giorni prima dell’evento– avrebbero regalato a giornalisti e sponsor un piccolo estratto dello spettacolo, che fu presentato all’Expo Gate di Piazza Castello, a Milano, nelpomeriggio piovoso del 25 marzo.Convocazione di buonora e ripasso mattutino dellaperformance– tre minuti in tutto – dedicata alla scena in cui Farro si presenta per la prima volta al pubblico e regala al piccolo Leo un fiore, simbolo della terra e difertilità.Fu in quell’occasione che mi resi conto che a breve avrei visto per la prima volta il mio costume di scena.

Andai al trucco in tarda mattinata.Soltantoallorasarei stato truccato, mentre per lo spettacolo avrei dovuto pensarci da solo, come ogni artista del Cirquedu Soleil. Ero emozionatissimo: finalmente mi sedevo su una sedia da trucco e da lì a poco avrei avuto il mio. Uno di quei trucchi sgargianti e complessi, che mi avevano sempre affascinato. Arrivò, poi, la volta del costume. Un’altra emozione scoprireil look da bambino, pensato dalla regista per me, da vestire nei quattro mesi seguenti.

Appena indossato, uscii dal camerino per farmi vedere da lei e dal resto della troupe di ideatori. Ci furono cinque secondi di silenzio.Maglia a righe, calzoni con bretelle, gilet rosso, cappello da aviatore, guance rosate, naso un po’ arrossato e l’eternità prima di una loro reazione. Non seppi il motivo di quel silenzio, mami piace pensare chefossero due anni che l’aspettavano. Lo avevano pensato, scritto e disegnato e ora finalmente il piccolo Leo era lì davanti,in carne e ossa (più ossa, nel mio caso). Ero pronto, truccato e vestito, così per tutte le sere dello spettacolo. Avevo il mio personaggio, indossavo il mio carattere! Unaltro tassello del mio puzzle era stato posizionato nel verso giusto. Ero felice un’altra volta.

Iniziò la conferenza.Krista, la regista,e altri di Expo cominciarono a relazionare al centinaio di giornalisti presenti. Seguì l’annuncio del titolo dello spettacolo – ALLAVITA! –quindi la musica. Farro fece capolinonella sala, seguito da Leo. Una manciata di minuti d’esibizione e, al termine,qualche foto di rito. Poil’abbraccio sincero tra me ei marionettisti, a tenda chiusa: per la prima volta, anche se per poco, ci eravamo esibiti per il Cirquedu Soleil.

Struccato, tornai a casa frastornato – un’altra volta era accaduto tutto velocemente – ma felice e con il pensiero di essere nella giusta direzione. Andai a letto presto, pronto per una nuova giornata di prove

 

 

Buongiorno, Expo!


Dopo 6 settimane di prove al Palazzo del Ghiaccio, il 29 aprile venne il tempo di trasferirci nello spazio Expo, dove avremmo proseguito le prove e a breve saremmo andati in scena, presso l’Open Air Theatre. In quella calda giornata di sole, mi sentivo come in gita scolastica.

I vertici della produzione ci avevano dato appuntamento all’esterno di Expo che, non ancora inaugurato, poteva essere visitato solo dagli addetti ai lavori e dai futuri dipendenti dei padiglioni e non prima di lunghi controlli di sicurezza (metal detector, perquisizioni e pluricontrollo dei documenti). Fino ad allora, per dieci mesi, avevamo varcato quei confini solo in foto e grazie a internet. Badge Expo “Staff Cirque du Soleil” al collo, ero emozionato come la mattina della gita, prima di salire sul pullman per scegliere i posti migliori.

Dall’ingresso al Teatro ci separavano due chilometri. Optammo per la strada principale, percorsa a suon di «WOW!» corale per lo stupore, che ancora oggi, a distanza di due settimane, non è svanito. Da ogni dove, tra quei padiglioni, qualunque cosa catturava la nostra attenzione: suoni, colori, installazioni, costruzioni… avremmo voluto fermarci continuamente in quei 20 minuti di strada, ma i capifila scandivano il passo, direzione Teatro.

Ancora distanti, già lo avevamo scorto. Un teatro con il palco più grande sul quale la maggior parte di noi fosse mai salita, con 30 metri di larghezza e 11 mila posti a sedere. Un colosso – anche rispetto al Palazzo del Ghiaccio – dove d’ora in poi avremmo provato. Quanto lo avevo sognato!

Ci accompagnarono in un tour guidato, attraverso la sala comune, la palestra, la sartoria, la segreteria di riferimento per ogni problema legato allo spettacolo fino ai nostri camerini: una fila di sei lampadine a contornare un grosso specchio rettangolare, il mio nome stampato sopra, i trucchi ordinati sul tavolo e le tre mie foto segnaletiche a ricordarmi il risultato finale. Quella sera mi brillavano ancora gli occhi.

E da quel giorno, quel teatro è diventato la nostra casa, con prove – anche notturne per testare le luci – che ormai sono solo filate dello spettacolo, completo di musiche, costumi e trucchi, per la soddisfazione della produzione, che a quattro giorni dalla prima ha organizzato una cena di ringraziamento (un piccolo gesto, che per tutti ha contato molto).

Anche Leo, il mio personaggio, sta assimilando sempre più tutti gli stati d’animo e i vari passaggi dello spettacolo. Alla prima ci saranno tanti spettatori e amici, ai quali non vede l’ora di mostrare il frutto degli ultimi mesi di duro lavoro e che – ne è sicuro – rimarranno a bocca aperta.

 

 

Alla Vita !


Il debutto di “ALLAVITA!” era stato fissato per mercoledì 13 maggio, posticipato a venerdì per motivi interni a Expo, quindi rimandato a sabato causa maltempo. Ma pertutti noi la vera prima fu giovedì 14 maggio.Un’ultima prova generale, sotto forma di anteprima, aperta a stampa, radio, tv e alle persone a noi più care. Parenti e amici stretti che,nelle settimane di duro lavoro – da marzo a maggio, con prove su prove, alla ricerca dell’ambita perfezione del Sole – avevano vissuto le nostre lamentele, assistito a volte anche alle nostre lacrime di fatica e, soprattutto, gioito con noi, avrebbero finalmente visto il frutto di quella fatica, il motivo di quella gioia… non vedevo l’ora!

Quel pomeriggio, dopo l’ultima prova, passammo le restanti ore in camerino. In attesa del pubblico e del buio, controllavo di continuo il cellulare, nel timore che qualcuno dei miei non potesse più venire o avesse problemi di strada o d’ingresso. Anche se fu il trucco il passatempo migliore. Nonostante le dodici ore di trainingcon l’esperta, non ero ancora in confidenza con i tratti di Leo: pennelli alla mano e massima concentrazione, ci misi due ore allo specchio, attento a stendere bene i colori, a tracciare linee precise e a non rovinare tutto sul finale.

Già un’ora prima dello spettacolo dal camerino cominciai a sentire le prime voci, le urla e le risate del pubblico che stava occupando le sedute a cielo aperto. “Tra quelle voci ci sono anche quelle della mia famiglia”, pensai. Ma non con preoccupazione, angoscia o paura: solo adrenalina e voglia di dimostrare.Da lì a poco dietro le quinte cominciarono a riecheggiare anche i primi«In bocca al lupo!» e i più internazionali «Have a good show!», accompagnati solo da grandi sorrisi moltiplicati per 48(il numero di noi artisti).

Fu nel religioso silenzio del backstage che la voce della stage manager arrivòforte e chiara: «3, 2, 1, the show starts, have fun!». Ormai non c’erano più scuse: si iniziava! Le ottomila voci d’un tratto s’ammutolirono, pronte a farsi stupire, e noi, lanterna alla mano, uscimmo in scena, mentre in platea i Cuochi già avevano lanciato il loro«Bonsoir Milano, buonasera!».

Percepimmo fin da subito che lo spettacolo piaceva: sentivamo il calore del pubblico, gli applausi caricarci… stavamo dando tutti il massimo e, alla fine, il pubblico, grato, era in piedi. Dopo gli inchini, un urlo liberatorio scoppiò nel backstage: avevamo debuttato con “ALLAVITA!”. Mesi e mesi a pensare come sarebbe stato quel giorno e poi, finalmente, era lì... era stato vissuto!

Quando sulle gradinate, a teatro quasi vuoto, abbracciai i miei ‘fans’, tra parenti e amici, ero del tutto ubriaco di felicità.

 

 

Ciao Krista!


A soli due giorni dal debutto ufficiale di “ALLAVITA!”, Krista, la regista, ci lasciò. La sua missione per Expo Milano 2015 era terminata: lo spettacolo camminava ormai da solo. Noi tutti sapevamo che non si sarebbe fermata per l’estate e che sarebbe tornata in Canada, casa del Cirque, ma non così presto. Non fu facile salutarla.

Krista mi aveva regalato un sogno, scegliendomi, e nelle sette settimane di prove era stata una mamma, quello che nella storia Farro rappresenta per il mio personaggio: Farro arriva per magia nella vita di Leo, ci rimane per poco, ma in quel breve lasso di tempo lo aiuta a comprendere che la vita è meravigliosa e va vissuta con gioia. E anche se alla fine Farro torna nella sua scatola, Leo è più forte di prima e porterà per sempre l’amico nel cuore.
Come Krista nel mio.

 

 

"AllaVIta!" in cifre....


Ieri notte non riuscivo proprio a dormire. Non ho contato le pecore, bensì i numeri dietro “ALLAVITA”. Otto semplici lettere per uno spettacolo da cifre capogiro.

Lo spettacolo capolavoro del Cirque du Soleil per Expo Milano 2015 ha richiesto 2 anni di lavoro e un’equipe di 150 persone, 15 sarte, 5 truccatrici, 100 costumi di scena, altrettante paia di scarpe, 200 accessori ed è costato 8 milioni di dollari. Al provino d’ingresso nel cast sono seguiti 48 giorni di prove, per un totale di 432 ore. L’Open Air Theatre che ci ospita è illuminato da più di 300 luci e può contenere 11 mila spettatori, con una media di 4 mila persone a sera. Ogni sera ognuno di noi regala al pubblico 90 minuti di spettacolo e 10 bustine di semi di margherita. A fine tour – si calcola – avranno visto lo spettacolo 320 mila persone e avremo regalato 32 mila bustine di semi per un totale di 480 mila margherite in più nel mondo.

Siamo in scena in 48 artisti, di cui 23 italiani, 2 attori, una cantante, un batterista, 7 ballerini (4 ragazze e 3 ragazzi), 5 burattinai, un verticalista, 3 clown, 4 sbandieratori, 4 figure oscillanti su un palo flessibile di 6 metri, 10 acrobati da terra e 2 aerei, 4 trapeziste in volo a 9 metri e i 5 giapponesi più forti al mondo nel salto alla corda, oltre a un polipo, un farro di oltre 2 metri, 2 tamburi volanti e una furia in bicicletta.

Per tutta la durata dello spettacolo, lavorano gomito a gomito con noi 15 tecnici  backstage, 4 addetti ai fari arrampicati a 20 metri d’altezza e 4 in regia, in dialogo costante con altri 3 dietro le quinte. Sono, poi, tutti i giorni a disposizione una fisioterapista, 7 costumiste e 14 guardie che controllano ogni sera gli accessi al teatro.

Ogni giorno siamo chiamati in teatro 120 minuti prima dell’inizio dello spettacolo, beviamo circa 120 litri di acqua e mangiamo un carrello di frutta alla settimana. Abbiamo 2 giorni liberi a settimana.
Ogni volta impiego 90 minuti al trucco, uso 11 pennelli, 4 creme e almeno 3 spugnette a settimana per truccarmi, per un totale di 150 spugnette a settimana da sostituire. Tutte le notti viaggiano 4 lavatrici per lavare tutti i costumi e ogni giorno, prima dello spettacolo, 50 lanterne vengono ricaricate, 30 cassette di legno riordinate, le 15 baguette finte ricolorate e il violoncello riaccordato.

Ogni giorno per 5 volte a settimana, 20 volte al mese, per le 80 volte in cui quest’estate “ALLAVITA” sarà replicato.