Il Circo Capovolto
di Milena Magnani
edito da Feltrinelli
ISBN 978-88-07-70192-4
180 pagine - 12,50 €
Finalmente un romanzo che guarda alle arti circensi con uno sguardo che attraversa il tempo, uno sguardo che parte dal mondo di oggi e ogni tanto si volge indietro per mettere a fuoco la storia dura e complessa di tante famiglie europee di spettacolo viaggiante che hanno subito nel tempo infinite discriminazioni fino a finire nei campi di stermino, durante la seconda guerra mondiale, insieme alla più ampia categoria definita degli asociali con istinto al nomadismo.
Con un linguaggio assolutamente originale, duro ma al tempo stesso visionario e evanescente, la Magnani ci racconta come a morire ad Auschwitz Birkenau ci siano stati tanti saltimbanchi, giocolieri, clown, funamboli, acrobati. E nel compiere questo atto di memoria e ci invita a guardare negli occhi il passato con la consapevolezza di quanto sia importante comprenderlo per poter affrontare con civiltà il mondo interculturale di oggi. E’ proprio questo sguardo sul passato che ci consente di valorizzare il destino di mestieri, quali quello degli artisti di strada, giocolieri, acrobati, ecc. che possono ancora avere un profondo valore in una società altamente complessa come la nostra.
E’ proprio il protagonista del romanzo, Branko Hrabal, ungherese discendente da una famiglia di circensi a trovarsi investito di questo compito. Lui arriva in una baraccopoli alla periferia di una delle nostre città italiane, arriva portando con sé un carico di scatoloni in cui è contenuta una parte degli attrezzi appartenuti al circo di suo nonno, Kék Cirkusz, il circo azzurro. Raccontando ai bambini delle baracche la storia di questo magico circo e affidando loro i materiali che ha recuperato, riesce a restituire ai bambini la passione per il gesto circense, quel gesto che, in un contesto di degrado e difficoltà sociali, diviene gesto di riscatto e restituzione di dignità sociale, come ci insegna tutta la nuova esperienza europea di circo sociale.
E’ importante anche sottolineare che, essendo il romanzo ambientato in una baraccopoli, metta a fuoco il convivere di persone di diverse etnie che si devono confrontare e misurare su ciò che li unisce e non su ciò che li divide. Molto interessante è il fatto che l'autrice, oltre alla narrazione in lingua italiana, abbia lasciato idiomi riferibili a cinque diversi ceppi linguistici (non solo albanese, ma anche rumeno, ungherese, Ceko, romanes) e che non abbia sentito il bisogno di metterne la traduzione in italiano a fondo pagina. Quasi a dirci che il senso della storia, e quindi di una trama comune, in un mondo come quello di oggi si deve afferrare al di là che dei personaggi e delle loro culture non si capisca tutto fino in fondo. Le differenze che qui vengono descritte non sono ostacolo ma solo elementi normali della vita intorno a cui si adatta una volontà di comunanza.
Come scrive Erri De Luca “La resurrezione è un tendone ripiegato, da montare di nuovo. Qui siamo tra giostrai, gente che non dimentica. Accompagna la storia una lingua sorella gemella della musica”